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mercoledì 2 aprile 2014

OBAMA, ROMA, SHALE GAS?

L’annessione della Crimea e il conseguente innalzamento della tensione politica hanno aumentato le preoccupazioni dell’Europa per la dipendenza dal gas russo che soddisfa il 32% della domanda interna di metano. Da qui la richiesta che i vertici europei hanno fatto al presidente Obama per un’accelerazione degli iter autorizzativi degli impianti di liquefazione previsti sulla costa atlantica degli Usa. Una mossa per diversificare gli approvvigionamenti importando metano a prezzi bassi approfittando del boom della produzione statunitense di shale gas.
Obama non ha escluso questa possibilità, ma ha raffreddato le attese incoraggiando i leader europei a trovare le risposte a casa propria, partendo dallo sfruttamento dello shale gas presente anche nel sottosuolo del vecchio continente. Queste aspettative rischiano però di essere deluse e di allontanare l’Europa dalla strada maestra per ridurre le importazioni di gas che passa dalla crescita delle rinnovabili e dalla riduzione dei consumi grazie ad incisive politiche per l’efficienza energetica.
In Europa le  riserve di shale gas sono interessanti, pari al 15-30% di quelle Usa. Diverse condizioni al contorno rendono infatti improbabile uno sviluppo su scala significativa dello shale gas nel vecchio Continente. Se sarà possibile estrarlo, il suo contributo al 2030 sarà compreso tra un 3% dei consumi di gas fino ad arrivare, nelle ipotesi più ottimiste, ad un 10%.
C’è poi il problema delle grandi quantità di acqua necessarie per le operazioni di fracking (per la durata di vita di un pozzo servono da 5 a 15 mila metri cubi) che rappresentano un ulteriore limite da noi. A questo si deve aggiungere che l’Europa è molto più antropizzata degli Usa e questo rende più problematica l’azione di ricerca ed estrazione con migliaia di pozzi. Per garantire una produzione pari al 10% della domanda di gas occorrerebbe trivellare una superficie ampia come l’Olanda.
Nel Regno Unito, dove il governo è lanciatissimo su questa opzione, si sta registrando una forte opposizione locale e  si è molto lontani da risultati concreti. Da quando è stata rimossa una moratoria a causa di rischi sismici nel dicembre del 2012, non una sola società ha fatto richieste per effettuare nuove trivellazioni, malgrado i ponti d’oro fiscali offerti dal governo. Delle sei aziende che hanno delle licenze, solo una, Igas, ha dichiarato di voler effettuare un pozzo quest’anno.
Ma non è meglio ancora una volta l'ENERGIA RINNOVABILE E PULITA?
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