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domenica 10 agosto 2014

NEW SASIAIMPIANTI.IT

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PASSATEPAROLA!

martedì 22 luglio 2014

QUALE FUTURO PER L'ITALIA? FONTI FOSSILI O EFFICIENZA ENERGETICA?

Il dibattito su quale debba essere il futuro energetico dell’Italia è esploso negli ultimi giorni, a seguito dell’intervista rilasciata dal premier Matteo Renzi al Corriere della Sera. Renzi ha espresso forti perplessità sul mancato sfruttamento dei giacimenti nostrani di gas naturale e di petrolio, criticando chi si oppone a questo genere di operazioni. La risposta di Greenpeace non si è fatta attendere: l’associazione ambientalista suggerisce di investire in rinnovabili ed efficienza energetica piuttosto che nelle trivellazioni.

Secondo Renzi non sfruttare adeguatamente i giacimenti di combustibili fossili situati in Sicilia e in Basilicata è un grave errore. Per il premier l’Italia sta sprecando una preziosa occasione: la quantità di petrolio e di gas naturale presenti nel Sud Italia permetterebbe di raddoppiare l’attuale volume della produzione nazionale di energia e di migliorare l’occupazione in una zona del Paese particolarmente bisognosa di lavoro. 

Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera Renzi ha parlato di 40.000 nuovi posti di lavoro generati dallo sfruttamento delle risorse energetiche del sottosuolo italiano. Il segretario del PD ha dunque criticato l’immobilità italiana sul fronte energetico e ha puntato il dito contro “tre, quattro comitatini” che impedirebbero, con manifestazioni di protesta e critiche, l’attuazione di progetti volti allo sfruttamento delle risorse fossili. Renzi ha rilanciato le sue accuse, lanciando un apposito hashtag – #inaccettabile – rivolto a chi si oppone a queste opere.


Immediata la risposta di Greenpeace alle parole di Renzi, risposta che è arrivata con un tweet e con un articolo di approfondimento. Secondo l’associazione ambientalista l’unico comportamento #inaccettabile è la difesa delle trivellazioni, che hanno conseguenze negative per l’ambiente terrestre e marino, oltre che per l’atmosfera. L’estrazione di gas naturale e di petrolio, infatti, altera l’ecosistema e comporta l’emissione di grandi quantitativi di gas serra. Secondo Greenpeace il futuro dell’energia in Italia passa per le rinnovabili e per l’efficienza energetica. Nell’articolo di risposta a Renzi vengono citati alcuni rapporti elaborati da Confindustria e dalle principali sigle sindacali italiane secondo i quali sviluppare il settore dell’efficienza energetica creerebbe 140.000 posti di lavoro all’anno per almeno 10 anni. A questo risultato si aggiungerebbero i benefici per l’ambiente e per le tasche degli italiani che potrebbero utilizzare energia pulita e a basso costo.

Quindi? Quale futuro per l’Italia?

Da un lato Renzi e chi sostiene l’urgenza per l’Italia di ridurre la sua dipendenza energetica dall’estero sfruttando le risorse nazionali; dall’altro Greenpeace e chi ritiene che il presente e il futuro dell’Italia passino per le energie rinnovabili, portatrici di lavoro, energia pulita ed economica e benefici tangibili anche per le generazioni future. Il dibattito è aperto e il confronto a suon di numeri sembra essere soltanto alle prime battute. Quale sarà il futuro dell’Italia? È la volta buona che il Paese si proponga come capofila di un nuovo paradigma di sviluppo europeo basato sull’energia rinnovabile o, come teme Greenpeace, rischia di trasformarsi in un piccolo Texas?


Voi cosa ne pensate?


giovedì 29 maggio 2014

IN FRANCIA IL NUCLEARE È SEMPRE PIÙ CARO (+118%)

Non si tratta certo di una buona notizia per la Francia che ha messo quasi tutte le sue uova (75%) nel paniere nucleare. Secondo la Corte dei Conti francese (lo riporta Le Figaro, non certo sospettabile di simpatie ambientaliste) il costo dell'energia prodotta dall'Uranio dovrà aumentare fortemente a causa degli importanti investimenti ormai necessari sul vecchio parco reattori: 33 su 58 hanno più di trent'anni (fonte database PRIS).
Il costo medio è già cresciuto del 20% tra il 2010 e il 2013, da 50 a 60 euro al MWh.

Nonostante le promesse del nuovo ministro dell'ambiente Ségolène Royal di voler stabilizzare il prezzo dell'energia nei prossimi tre anni, la Corte ritiene che l'aumento sarà dovuto soprattutto (+118%) ai massicci investimenti necessari per prolungare la vita dei reattori attuali oltre lo standard di 40 anni; si parla di qualcosa come 90 miliardi di € da qui al 2030, quindi assai più dei 55 stimati da Electricité de France.
E' da notare che con questa cifra si potrebbero installare  circa 90 GW di eolico che potrebbe sopperire a circa un terzo dell'attuale produzione di energia elettrica.
Un peso minore, ma non trascurabile è dato dall'aumento dei costi dell'Uranio, del personale, della logistica ecc.
La nuova centrale EPR in costruzione a Flamanville sta viaggiando con 4 anni di ritardo e finirà con il costare 8,5 miliardi di €, cioè il triplo del budget iniziale.
P.S.: Il costo indicativo dell'eolico è di circa 1€ al watt.Con 90 GW si potrebbero produrre indicativamente 180 TWh ogni anno; si tratta di uno scenario realistico, dal momento che il potenziale eolico francese è pari a circa 560 TWh/anno.

VIDEO: Le centrali nucleari in Francia, da una puntata di Report del 29 marzo 2009.


mercoledì 2 aprile 2014

OBAMA, ROMA, SHALE GAS?

L’annessione della Crimea e il conseguente innalzamento della tensione politica hanno aumentato le preoccupazioni dell’Europa per la dipendenza dal gas russo che soddisfa il 32% della domanda interna di metano. Da qui la richiesta che i vertici europei hanno fatto al presidente Obama per un’accelerazione degli iter autorizzativi degli impianti di liquefazione previsti sulla costa atlantica degli Usa. Una mossa per diversificare gli approvvigionamenti importando metano a prezzi bassi approfittando del boom della produzione statunitense di shale gas.
Obama non ha escluso questa possibilità, ma ha raffreddato le attese incoraggiando i leader europei a trovare le risposte a casa propria, partendo dallo sfruttamento dello shale gas presente anche nel sottosuolo del vecchio continente. Queste aspettative rischiano però di essere deluse e di allontanare l’Europa dalla strada maestra per ridurre le importazioni di gas che passa dalla crescita delle rinnovabili e dalla riduzione dei consumi grazie ad incisive politiche per l’efficienza energetica.
In Europa le  riserve di shale gas sono interessanti, pari al 15-30% di quelle Usa. Diverse condizioni al contorno rendono infatti improbabile uno sviluppo su scala significativa dello shale gas nel vecchio Continente. Se sarà possibile estrarlo, il suo contributo al 2030 sarà compreso tra un 3% dei consumi di gas fino ad arrivare, nelle ipotesi più ottimiste, ad un 10%.
C’è poi il problema delle grandi quantità di acqua necessarie per le operazioni di fracking (per la durata di vita di un pozzo servono da 5 a 15 mila metri cubi) che rappresentano un ulteriore limite da noi. A questo si deve aggiungere che l’Europa è molto più antropizzata degli Usa e questo rende più problematica l’azione di ricerca ed estrazione con migliaia di pozzi. Per garantire una produzione pari al 10% della domanda di gas occorrerebbe trivellare una superficie ampia come l’Olanda.
Nel Regno Unito, dove il governo è lanciatissimo su questa opzione, si sta registrando una forte opposizione locale e  si è molto lontani da risultati concreti. Da quando è stata rimossa una moratoria a causa di rischi sismici nel dicembre del 2012, non una sola società ha fatto richieste per effettuare nuove trivellazioni, malgrado i ponti d’oro fiscali offerti dal governo. Delle sei aziende che hanno delle licenze, solo una, Igas, ha dichiarato di voler effettuare un pozzo quest’anno.
Ma non è meglio ancora una volta l'ENERGIA RINNOVABILE E PULITA?
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mercoledì 26 marzo 2014

COINVOLGERE I CITTADINI PER LO SMANTELLAMENTO DELLE CENTRALI NUCLEARI

L’Italia deve procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Trino (VC), Caorso (PC), Latina (LT), Garigliano (CE), Bosco Marengo (AL), Saluggia (VC), Casaccia (RM) e Rotondella (MT), nonché ad avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare. Si tratta di attività che produrranno circa 55.000 m3 di scorie radioattive, delle quali circa 10.500 m3 ad alta attività e altri 44.500 m3 a media e bassa attività. A questo vanno aggiunti i rifiuti radioattivi a bassa, media ed alta radioattività (provette, flaconi, siringa, guanti, indumenti contaminati, sorgenti per teleterapia etc…) prodotti da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare, ma anche di macchinari contaminati e dispositivi utilizzati per la ricerca in campo medico e farmacologico, oltre che da specifici settori industriali. 

Si tratta per l’Italia di circa 15.000 m3, dei quali più di 3.000 m3 ad alta attività e nei prossimi anni se ne aggiungeranno altri 20.500 m3 circa, di cui oltre 1.500 m3 ad alta attività, con un trend di crescita di 500 m3 all’anno.


La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile evidenzia che «La quantità complessiva di rifiuti a bassa, media e alta attività da smaltire è dunque di oltre 90.000 metri cubi. Attualmente i rifiuti radioattivi prodotti quotidianamente sono raccolti presso i siti di produzione, mentre quelli derivanti dal settore sanitario, della ricerca e dall’industria sono detenuti in aree di stoccaggio provvisorio. Una situazione complessiva che richiede una soluzione allineata ai migliori standard internazionali di sicurezza. Un fenomeno importante che pone con forza il problema di una corretta e sicura esecuzione delle attività di decommissioning e della gestione e smaltimento di questa tipologia di rifiuti. La Direttiva europea 2011/70 Euratom ha imposto ad ogni Stato membro la realizzazione di un deposito che sia in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali».

Con il recepimento di questa direttiva l’Italia aveva previsto, con il decreto legislativo 31/2010, la realizzazione in un Deposito nazionale destinato «all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari e allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari». Il Deposito nazionale dovrebbe essere realizzato all’interno di un Parco tecnologico finalizzato alla ricerca di soluzioni per la definitiva messa in sicurezza delle scorie nucleari (?).

Bisogna anche ricordare che la direttiva Euratom chiede più trasparenza e impone che gli Stati membri assicurino che «la popolazione abbia le necessarie occasioni di effettiva partecipazione ai processi decisionali concernenti la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi conformemente alla legislazione nazionale e agli obblighi internazionali».

Quindi il processo decisionale riguardante il decommissioning, la gestione dei rifiuti radioattivi e la realizzazione del Parco tecnologico e del Deposito nazionale sarà molto articolato e complesso e richiederà da parte delle istituzioni momenti di confronto, di informazione e di formazione, ma anche di ascolto dei cittadini. Per questo scopo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in collaborazione con la Sogin, ha deciso di istituire un Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare che viene presentato come un organismo che «si propone di contribuire a una corretta informazione scevra da condizionamenti su questa tematica ponendosi l’obiettivo di approfondire gli aspetti tecnici e tecnologici, nonché le implicazioni economiche, sociali e ambientali delle attività di bonifica dei siti nucleari e di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi».

I compiti che si è dato l’osservatorio sono quelli di: Raccogliere, elaborare e contribuire alla diffusione delle informazioni, garantendone l’accessibilità ai soggetti interessati; Supportare, monitorare e garantire un corretto sviluppo del processo di coinvolgimento degli stakeholder in materia di smantellamento dei siti nucleari, gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e localizzazione, progettazione e realizzazione del Parco tecnologico e del Deposito nazionale; Esprimere osservazioni e redigere relazioni informative sulle attività di decommissioning, di gestione dei rifiuti radioattivi, nonché sul recepimento delle direttive europee e sulle normative nazionali in materia».

Entro giugno l’Osservatorio si propone di realizzare: Approfondimenti sui dati relativi alla produzione dei rifiuti radioattivi e alla loro catalogazione; Benckmarking sui criteri di localizzazione utilizzati negli altri stati europei; Seminario sui criteri di localizzazione dell’Ispra e sul recepimento della direttiva europea 2011/70/Euratom; Eleborazione di strumenti e modalità di coinvolgimento degli stakeholders individuati; Definizione del programma delle attività per la seconda metà del 2014.

Il presidente dell’Osservatorio, Stefano Leoni, conclude: «Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cui si trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, è un atto dovuto. È una responsabilità di tutti noi, anche di chi, come me, ha combattuto per la chiusura delle centrali nucleari. È questo lo spirito che guiderà l’attività dell’Osservatorio, non solo per garantire la sicurezza per i prossimi anni, ma anche per le generazioni future. Solo una scelta condivisa e responsabile potrà permettere al nostro Paese di chiudere il ciclo nucleare.

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domenica 16 marzo 2014

L'IMPRESSIONANTE CONSUMO DI ACQUA DELLE ENERGIA NON RINNOVABILI

Secondo l’ultimo rapporto dell’EWEA, presentato recentemente a Barcellona, in Europa le centrali nucleari, quelle a carbone e a gas consumano 4,5 miliardi di m3 di acqua su base annua, ovvero il 44% del totale d’acqua consumata nel continente. Sono cifre impressionanti, che equivalgono al fabbisogno annuo d’acqua degli 82 milioni di abitanti della Germania.
Il documento “Saving water with wind Energy” mette in evidenza l’importanza del consumo d’acqua nella produzione di energia elettrica, un aspetto purtroppo frequentemente dimenticato.
L’acqua è un prerequisito per la vita, una risorsa indispensabile per l’economia, e svolge un ruolo fondamentale per il clima”, si legge nel documento. “Ogni cittadino europeo consuma 4.815 litri di acqua al giorno in media, compreso l’uso diretto di acqua (consumi delle famiglie) e l’uso indiretto di acqua (acqua necessaria per la produzione di prodotti industriali e agricoli) (dati Vanham & Bidoglio, 2013). E tutti questi impieghi includono la produzione di energia”.
In effetti, la produzione energetica utilizza il 44% del totale d’acqua consumata nell’UE, più di qualunque altra attività industriale.
Ma per risparmiare acqua vi sono delle soluzioni, fondamentalmente l’utilizzo di energia eolica; siccome questa fonte di energia rinnovabile non utilizza acqua, evita 1,2 miliardi di m3 d’acqua all’anno, con un ritorno economico di 2,4 miliardi di euro.
Per raffreddare le centrali nucleari europee, così come quelle da fonti fossili, si consuma l’equivalente di oltre tre piscine olimpioniche ogni minuto di ogni giorno”, ha dichiarato Ivan Pineda di EWEA. “Aumentare il nostro uso dell’energia eolica contribuirà a preservare questa preziosa risorsa molto più efficacemente di qualsiasi divieto di innaffiare il giardino”, conclude Pineda.
Secondo le stime EWEA, infine, l’energia eolica potrebbe evitare una spesa relativamente all’acqua consumata, tra gli 11,8 e i 17,4 miliardi di euro l’anno entro il 2030.

martedì 11 marzo 2014

SCATTA IL SEQUESTRO DELLA CENTRALE A CARBONE "TIRRENO POWER"

E' scattato ufficialmente il sequestro per la centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure. Il gip del tribunale di Savona, Fiorenza Giorgi, ha accolto la richiesta della Procura a seguito del mancato rispetto di alcuni limiti imposti dall'AIA. L'ordinanza fatta eseguire oggi prevede lo spegnimento dei due gruppi a carbone (mentre resta in funzione quello a gas) e il commissariamento della centrale. Il commissario designato è il nuovo direttore della centrale, Massimiliano Salvi, subentrato di recente all’ex direttore Giovanni Gosio, uno degli indagati per disastro doloso.

La centrale a carbone è appartenuta all'Enel fino al 2002. Per il procuratore di Savona che cura l'inchiesta, Francantonio Granero, tra il 2000 e il 2007 le emissioni della centrale a carbone di Vado hanno causato oltre 400 morti. Un dato che non si basa su un calcolo algoritmico, come era emerso in passato, ma su rilevazioni. Secondo il procuratore, ci sarebbero stati anche tra i 1.700 e i duemila ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 ricoveri di bambini per patologie respiratorie e attacchi d’asma tra il 2005 e il 2012.
Sull'attività di Tirreno Power sono aperti due filoni d'inchiesta, una per disastro ambientale e una per omicidio colposo. Risultano indagati per disastro ambientale Giovanni Gosio ex direttore generale, dimessosi alcune settimane fa, e il direttore dello stabilimento Pasquale D'Elia. Ci sarebbe anche un terzo indagato di cui non si conosce il nome.
L'azienda si è sempre difesa sostenendo che gli studi dei consulenti di parte hanno delle "criticità". "Non sono mai stati sottoposti a un contraddittorio, non si comprende quale sia stato il metodo di valutazione di esposizione agli inquinanti. Tale mancanza di chiarezza è accompagnata dall'assenza della doverosa analisi di robustezza, di sensitività e quindi di affidabilità globale del metodo adottato. Anche per questo motivo non si può affermare in concreto alcun nesso di causalità" tra morti, malattie ed emissioni. Secondo l'azienda, nelle perizie dei consulenti della procura mancherebbe anche lo studio della ricaduta a terra delle particelle inquinanti.
Vi rimando a questo post sulla pericolosità delle centrali a carbone.

domenica 9 marzo 2014

IL CONTO SALATO DELLE CENTRALI NUCLEARI FRANCESI

Grazie al referendum che ha chiuso, si spera definitivamente, la porta in faccia all'atomo, in Italia l'abbiamo proprio scampata bella. Senza pensare agli effetti che il “rinascimento nucleare" voluto dal governo Berlusconi avrebbe avuto sul nostro sistema elettrico in grave situazione di overcapacity, alle spese enormi per costruire le centrali, o a possibili incidenti, abbiamo infatti rischiato di ipotecare pesantemente il nostro futuro, trovandoci magari tra 30-40 anni obbligati a spendere altri miliardi, oltre che per eventuali decommissioning (stiamo ancora pagando per le centrali chiuse nell'87), anche per rimodernare o mantenere in funzione il parco dei reattori.

Lo mostra bene la situazione francese: un documento riservato di EDF, visto dal settimanale Le Journal du dimanche, quantificherebbe in circa 300 miliardi di euro gli investimenti necessari nei prossimi 50 anni se si volesse mantenere il parco nucleare ai livelli attuali. Lo scenario probabilmente non si verificherà grazie all'obiettivo francese di far scendere la quota dell'atomo nel mix elettrico dal 75 al 50%, ma i francesi dovranno comunque sborsare una cifra enorme: si parla di 200 miliardi da investire dal 2030 al 2067, cifra che potrebbe arrivare a 240 se si scegliesse di sostituire le centrali da pensionare con reattori di tipo EPR.
Anche senza guardare troppo in là, comunque, l'atomo costerà caro ai francesi. La scadenza dei 40 anni di vita per i 58 reattori nazionali è infatti alle porte: per circa due terzi arriverà entro il 2025.  Urge dunque una estensione della vita utile, con relativi investimenti in sicurezza. Prolungare da 40 a 50 anni la vita dei 58 reattori francesi, costerebbe dal 2015 al 2025 55 miliardi di euro, circa 1 miliardo a reattore, secondo quanto dichiarato dai vertici di EDF. Secondo uno studio di Wise-Paris (allegato in basso), commissionato da Greenpeace France, la spesa potrebbe però essere molto più alta: valutando i lavori necessari si parla di una forchetta che va da 2 a 4,5 miliardi a reattore.
Come fa notare il verde Denis Baupin, "il totale di 300 miliardi equivarrebbe al costo di uscire dal nucleare e rimpiazzarlo con le fonti rinnovabili. Bisogna uscire dal mito che il nucleare sia gratuito”. Insomma, invecchiando il nucleare costa e i paesi che vi hanno investito si trovano costretti a spendere moltissimo solo per garantire la sicurezza di impianti basati su una tecnologia obsoleta.
Un problema che nei prossimi anni in Europa si manifesterà pesantemente: come verificato da un report pubblicato da Greenpeace, su 151 reattori nucleari operativi in Europa (esclusa la Russia), 67 hanno più di trent’anni, 25 più di trentacinque e 7 di loro oltre quarant’anni. Il 44% dei reattori nucleari europei hanno oltre trent’anni, con un'età media di ventinove.
Viste le spese necessarie ad allungare la vita dei reattori, senza peraltro eliminare completamente rischi sanitari e ambientali potenzialmente connessi, chi ha investito in questa tecnologia farebbe meglio a mandare le centrali in pensione il più in fretta possibile, come ha deciso di fare la Germania? Quanto a noi, possiamo ringraziare il voto del referendum del 2011 che ha evitato che ci imbarcarcassimo per questa perigliosa impresa.

martedì 28 gennaio 2014

CENTRALI A CARBONE: GLI EFFETTI DEVASTANTI SULL'AMBIENTE E SULLA SALUTE

Nel sito ENEL si legge questo: 

"... Oltre 1200 nuove centrali a carbone in progetto nel mondo...I nuovi progetti hanno ottenuti finanziamenti  sia dalle banche commerciali che dalle banche di sviluppo. Per esempio, la JP Morgan Chase ha fornito più di 13 miliardi di euro per i nuovi impianti a carbone nel corso degli ultimi sei anni, seguita da City Bank, con 10 miliardi di euro. La Barclays è considerata il quinto più grande sostenitore del carbone, con un finanziamento erogato pari a 9 miliardi di euro, mentre la Royal Bank of Scotland è considerata il settimo sostenitore del carbone a livello mondiale, con 8 miliardi di euro di finanziamenti erogati...." 

Ma andiamo con ordine e vi spiego cosa NON va nelle centrali a carbone.


Attualmente in Italia ci sono 13 centrali a carbone:


Gli effetti devastanti delle centrali a carbone sull’ambiente e sulla salute li possiamo ben immaginare. Solo a titolo di esempio, riporto alcuni dati interessanti, quanto sconcertanti, dal sito di Greenpeace.
Si parla qui di Brindisi. Della centrale a carbone di Enel, la Federico II.
L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha indicato nel 2011 la centrale Enel di Brindisi come il sito industriale più inquinante d’Italia. Secondo l’Agenzia le emissioni inquinanti del sito industriale (dati del 2009) causano una mortalità prematura stimabile in 119 casi l’anno. A queste morti premature causate dal carbone andrebbero sommati gli impatti dell’impianto di Brindisi Nord di Edipower, che ha ottenuto l’anno scorso una nuova Autorizzazione Integrata Ambientale per tornare a produrre ed inquinare a pieno regime.
Si legge nel rapporto:

In riferimento alla popolazione di Brindisi, uno studio del 2011 realizzato dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Lecce e di Pisa con l’Unità operativa di Neonatologia dell’ospedale Perrino di Brindisi, la Asl di Brindisi e l’Università di Pisa, segnala un eccesso nelle patologie neonatali riscontrate nel capoluogo pugliese del 18 per cento rispetto alla media europea, con uno scarto che raggiunge quasi il 68 per cento in riferimento alle patologie congenite cardiovascolari.

Gli effetti devastanti delle centrali a carbone, dicevamo, si possono ben immaginare, ma citando i dati è tutto più lampante.
Questi sono i riscontri immediati sulla salute delle persone, ma possiamo immaginare con altrettanta lucidità gli effetti di lungo periodo e su scala globale di questi modelli di produzione energetica: sulle persone, sugli animali, sul Pianeta.
Le zone che accolgono le centrali a carbone sono sotto continuo monitoraggio dalle principali associazioni ambientaliste.
Il carbone risulta essere la tipologia di combustibile fossile più impattante a livello ambientale: i suoi “fumi” che sprigionano biossido di carbonio, sostanza altamente tossica, costituiscono il 43% del totale dei gas serra di tutto il mondo.  Inoltre le polveri ed i residui della combustione che si sprigionano nell’aria attorno alle centrali sporcano le abitazioni, le strade e le colture intorno, minando pesantemente l’ecologia di questi luoghi.

Le centrali di carbone hanno effetti devastanti sul benessere e sulla salute delle persone: molti studi scientifici hanno infatti dimostrato che sono causa di tumori, malattie respiratorie, cardiovascolari e ictus.
La lista potrebbe continuare.

Dunque, cosa contrapporre alle anacronistiche centrali a carbone? A gas o a petrolio?

Le alternative ci sono, sono le fonti rinnovabili. Si tratta di prenderle, studiarle, migliorarle, si tratta di fare (e finanziare) ricerca. Bisogna coniugare la produzione ed il consumo energetico con le nuove tecnologie per ottimizzarne i costi, l’efficienza ed il rendimento. La ricerca in tal senso ha fatto e sta facendo passi da gigante, ma ancora di strada bisognerà farne. 

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giovedì 14 novembre 2013

"DECARBONIZIAMOCI"

In Italia sono in funzione 13 centrali a carbone diverse per potenza e tecnologia impiegata. Questi impianti hanno prodotto circa 44.726 GWh nel 2011 e 46.755 GWh nel 2012, contribuendo rispettivamente all'12,9% e al 13,7% 57 del fabbisogno elettrico complessivo. 

A fronte di questi dati, tutto sommato abbastanza modesti, scopriamo che gli impianti a carbone nel 2011 avevano prodotto oltre 38,3 milioni di tonnellate di CO2, che nel 2012 dovrebbero aver superato i 40 milioni di tonnellate, corrispondenti a oltre 1/3 di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale.

Queste sono le centrali a carbone in Italia:

  1. Centrale di Brindisi Nord (BR) di proprietà della EDIPOWER SpA. La società utilizza carbone in 2 sezioni da 320 MW.
  2. Centrale di Fiumesanto (SS) di proprietà di E.ON ITALIA SpA, ha 2 sezioni a carbone da 320 MW.
  3. Centrale friulana di Monfalcone, di proprietà di A2A SpA composta di 4 sezioni, di cui due alimentate a carbone da 165 e 171 MW e due ad olio combustibile da 320 MW.
  4. Centrale di Torrevaldaliga Nord di proprietà di ENEL SpA, è composta da 3 sezioni da 660 MW riconvertite a carbone. La centrale è operativa dal 2009.
  5. Centrale di Vado Ligure di proprietà diTIRRENO POWER SpA, è suddivisa in 4 sezioni di cui due da 330 MW che vanno a carbone. Il progetto di costruzione di una nuova unità a carbone di 460 MW ad elevato rendimento, oltre che l’ammodernamento delle sezioni esistenti al fine di migliorarne le performance ambientali ha ottenuto la firma del decreto VIA (Valutazione di Impatto Ambientale)da parte del Ministero dell’Amibiente nel corso del 2009.
  6. Centrale di Brescia di proprietà di A2A SpA, è composta da 1 sezione da 70 MW che va a carbone.
  7. Centrale di Brindisi Sud di proprietà di ENEL SpA, composta da 4 unità ciascuna da 660 MW alimentate a carbone. 
  8. Centrale di Genova di proprietà di ENEL SpA, composta da 2 unità, una da 295 MW alimentate a carbone.
  9. Centrale del Sulcis di proprietà di ENEL SpA, composta da 1 unità da 340 MW alimentata a carbone.
  10. Centrale di Fusina di proprietà di ENEL SpA, composta da 4 unità da 320 MW alimentate a carbone e ulteriori 2 unità da 160 MW.
  11. Centrale di Marghera di proprietà di ENEL SpA, composta da 2 unità da 70 MW alimentate a carbone.
  12. Centrale di La Spezia di proprietà di ENEL SpA, composta da 1 unità da 600 MW alimentata carbone.
  13. Centrale di Bastardo di proprietà di ENEL SpA , composta da 2 unità da 75 MW alimentate a carbone.
I dati che arrivano dalla nuova edizione del rapporto 'Carbone: un ritorno al passato inutile e pericolo', presentato dal Wwf, nel corso di una conferenza stampa a Roma, non sono molto rassicuranti.

A livello europeo l'Health and Environment Alliance ha stimato costi per l'impatto sanitario provocato dalla combustione del carbone compresi tra 15,5 e 42,8 miliardi di euro annui. Da qui il rinnovato appello del Wwf a puntare alla decarbonizzazione.

Tra l'altro, come ricorda il Wwf nella scheda sui costi dell'energia "Le rinnovabili convengono a tutti", in Europa i reali costi che pesano sulle bollette elettriche sono i 100 miliardi di euro di incentivi a fonti fossili e nucleare contro i 30 alle energie rinnovabili, e anche in Italia il maggiore incremento della bolletta elettrica è dovuto all'aumento del costo dei combustibili fossili da cui dipendiamo per l'80% e non certo agli incentivi concessi alle energie rinnovabili.


Qui sotto un'immagine significativa sui danni per le centrali a carbone


Non è meglio utilizzare energia pulita che, addirittura, ci offre la natura?

mercoledì 6 novembre 2013

DATI ALLARMANTI PER LE ENERGIE FOSSILI

In tutta Europa e in alcuni degli Stati Uniti, le utilities dell'energia che una decina di anni fa dominavano i mercati ora lottano per far fronte alla diminuzione dei prezzi, esacerbati dai sussidi alle fonti rinnovabili che non pagano i costi del carburante

Il dolore è più acuto in Germania, il paese che ha guidato il mondo nell'installazione di parchi solari ed ha i più grandi progetti eolici offshoreL'energia pulita ha inoltre la precedenza sui combustibili fossili anche nei mercati all'ingrosso europei.


Le tedesche EON, di Dusseldorf, e RWE di Essen stanno valutando di arrestare gli impianti a carbone e a gas con capacità superiore a 20.000 megawatt, in grado di rifornire 21 città delle dimensioni di Colonia, rischiando una perdita di posti di lavoro di oltre 10000 unità. "Una parte significativa del nostro modello di business è ora di fronte a nuove sfide," ha detto il Direttore finanziario di RWE Bernhard Guenther in un'intervista, senza specificare nulla a proposito di fermi o di posti di lavoro. "Qualunque cosa facciamo in termini di costi non compenserà pienamente la perdita di profitto che registriamo nella produzione di energia convenzionale."
 

Il Governo del Cancelliere Angela Merkel ha detto di voler riformare la legge di sussidio dell'energia pulita del paese dopo le elezioni del 22 settembre e anche rielaborare il design del mercato energetico del paese. Il boom rinnovabili tedesco ha causato "problemi enormi per il sistema", ha detto Merkel 12 giugno a Berlino. Le azioni RWE hanno raggiunto il minimo degli ultimi dieci anni la scorsa settimana e EON ha fatto altrettanto il mese scorso, dopo che gli analisti hanno previsto la riduzione degli utili. "Non abbiamo mai visto un'arresto di queste proporzioni", ha detto Susanne Nies, responsabile della politica energetica e della generazione al gruppo di lobby AISBL Eurelectric. "La richiesta di potenza in Europa sarà più bassa nel 2020 rispetto al 2010, e le utility hanno "massicciamente sopravvalutato la domanda per elettricità a gas."
 
Il ridimensionamento è speculare negli Stati Uniti, dove fiorenti pannelli solari sui tetti mangiano nella quota di mercato delle utility, da New York a Hawaii. 

In Giappone il governo sta aprendo il mercato ai nuovi rivali, mettendo sotto pressione i fornitori tradizionali come la Tokyo Electric Power CoI quattro maggiori produttori di energia della Germania hanno solo investito in energia pulita quanto bastava per il controllo del 4,9 per cento della capacità rinnovabile entro il 2012 - secondo la Trendresearch GmbH, di Brema - e il paese si affiderà sempre più a eolico e solare per colmare il vuoto lasciato dalla graduale eliminazione del nucleare. La quota di fonti rinnovabili nella generazione elettrica è più che triplicato raggiungendo il 22 per cento nel 2012 rispetto al 2000.
 
"L'adeguamento della flotta di centrali elettriche convenzionali è indispensabile perché le energie rinnovabili hanno sempre la precedenza" ha detto Thomas Deser, un gestore di portafoglio presso la Union Investment GmbH, che controlla EON e RWE. "Si tratta di chiudere le centrali con un flusso di cassa negativo," ha aggiunto Patrick Hummel, analista di UBS AG. I produttori indipendenti di energia, come WPD AG, Juwi AG e SAG Solarstrom AG hanno investito prima e più pesantemente in energia eolica e solare, tagliando la quota fornita da RWE e EON.

Mentre le utilities in tutta Europa hanno visto diminuire la domanda, quelle in Germania si stanno anche contendendo la graduale eliminazione dell'energia nucleare. RWE e EON hanno preso atto della decisione di chiudere tutti i reattori entro il 2022 e stanno abbandonando le centrali che avevano considerato avrebbero prodotto reddito per anni.
 
"L'idea di un mercato europeo integrato dell'energia è nel caos," ha detto il mese scorso il Presidente Lars G. Nordstroem  "La politica energetica sta diventando sempre più nazionale. Ognuno guarda il proprio patrimonio naturale e le proprie politiche. "

lunedì 28 ottobre 2013

LONDRA E IL NUCLEARE: UNA "TECNOLOGIA DI STATO"

Dopo il disastro nucleare di Fukushima, la Gran Bretagna sta per firmare il contratto con la società francese EDF per la costruzione di una centrale nucleare dal costo di circa 23 miliardi di Sterline.

La centrale sorgerà presso il sito di Hinkley Point C, sulla costa del Somerset, dove sono già presenti due impianti nucleari: una presso Hinkley Point A (ora dismessa) e l’altra presso Hinkley Point B, il cui impianto è gestito proprio dalla EDF. In realtà, la EDF gestisce 15 reattori nucleari in Gran Bretagna, rilevati nel 2008/2009 dalla British Energy per un valore di circa 12,5 miliardi di sterline.

Secondo l’accordo, la società controllata francese, la EDF, sarà capo commessa di un consorzio comprendente investitori cinesi, tra cui la China National Nuclear Corporation (CNNC) e la China General Nuclear Power Corporation (CGNPC), per costruire 2 reattori EPR (European Pressurised Water Reactor) progettati dalla francese AREVA. La EDF dovrebbe avere dal 30 al 40% del pacchetto azionario, mentre la AREVA il 10%.

I 2 reattori, ciascuno della capacità di 1.6 gigawatt, dovrebbero produrre circa il 5% del fabbisogno nazionale britannico e aumentare la sicurezza energetica del Paese che necessita di sostituire il 20% degli impianti ormai obsoleti ed inquinanti.

L'elettricità prodotta, pronta non prima del 2023, verrà pagata il doppio del suo valore di mercato e a coprire la differenza saranno i consumatori britannici.
In ogni caso dunque è pacifico che per avere nuovo nucleare nel paese bisogna incentivarlo come se fosse una fonte di energia pulita. Ed è chiaro che lo si farà, a dispetto delle passate assicurazioni che le nuove centrali nucleari si sarebbero realizzate esclusivamente con il denaro dei privati. Per permettere la costruzione di nuovi reattori, come disposto dall'ultima riforma del mercato elettrico, verrà infatti adottato il meccanismo dei cosiddetti contracts for difference, una sorta prezzo dell'energia garantito. Per semplificare, se alla centrale di EDF verrà garantito uno strike price di 100 £/MWh come richiesto, quando il prezzo di mercato sarà al di sotto di questa cifra (come in effetti è) il pubblico dovrà pagare la differenza tra prezzo di mercato e strike price.
Londra, a differenza di altre potenze come Germania e Giappone che hanno optato per l'abbandono, vede ancora il nucleare come centrale nel suo mix energetico futuro. L'esecutivo britannico ha ribadito: punta a far costruire centrali per 16 GW, cosa che dovrebbe creare circa 40mila nuovi posti di lavoro. Nella strategia illustrata oltre 40 milioni di sterline in fondi per la ricerca e collaborazioni con l'industria del settore.
Una prova che oggi il nucleare è sempre più una "tecnologia di Stato" e non serve ad abbassare le bollette.

giovedì 24 ottobre 2013

L'ENEL E IL NUCLEARE

Il 26 aprile 1986, un reattore della centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina esplose rilasciando grandi quantità di radiazioni nell’atmosfera e contaminando milioni di persone e una vasta area della Russia e dell’Europa. In Bielorussia e Ucraina furono contaminati più di 140 mila chilometri quadrati di territorio e fu necessario evacuare circa 350 mila persone. 

A 22 anni di distanza, il disastro ha ancora un pesante effetto sulla popolazione e tutt’oggi si registrano nuove vittime.

Secondo uno studio di scienziati delle accademie delle scienze di Ucraina e Bielorussia, pubblicato da Greenpeace nel 2006, nel lungo periodo si potranno raggiungere le 140 mila vittime (contro le poco più di 9 mila delle cifre ufficiali).

Quello di Cernobyl è il disastro nucleare più grave avvenuto finora, l’unico a essere classificato a livello 7 sulla scala internazionale degli incidenti ( Ines). Ma non è comunque un episodio isolato, la storia del nucleare è un lungo elenco di incidenti

Anche se ben progettato, per esempio, un reattore nucleare è vulnerabile ai terremoti, fenomeno che riguarda buona parte del nostro Paese. E al rischio di incidenti va aggiunto quello di possibili attentati terroristici.

Inoltre, per quanto la probabilità di incidenti gravi sia bassa, la possibile entità delle conseguenze è molto elevata. Un incidente grave in Italia – Paese densamente popolato – potrebbe significare dover evacuare un numero elevato di cittadini. Affermare che “tanto siamo circondati da centrali” è profondamente scorretto perché trascura un principio basilare della radioprotezione: più si è vicini alla sorgente di radiazioni e più rischi si corrono.


Ma non credo che l'ENEL veda il nucleare come pericolo. Basti guardare cosa scrive sul sito e che noi riportiamo un accenno qui di seguito:

Per quanto riguarda più specificamente l’energia elettrica, il tasso di crescita annuo della domanda fino al 2030 è del 2,5%, per arrivare a un aumento della capacità totale di 4800 GW cioè quasi cinque volte la capacità attuale negli USA.
Le sfide sono quindi molteplici: rispondere a una domanda di elettricità importante e contemporaneamente fronteggiare l’esaurimento delle risorse fossili e implementare misure per contrastare il cambiamento climatico.


Per raggiungere questi obiettivi è certamente necessario economizzare l’energia elettrica, sviluppare sistemi di cattura e sequestro di anidride carbonica e utilizzare al massimo le fonti rinnovabili,. Ma nessuna fonte, rinnovabili incluse, basta da sola a coprire la domanda di elettricità.

La risposta più efficace è quindi un mix di generazione equilibrato che includa fonti fossili, rinnovabili e nucleare. Il nucleare infatti assicura una produzione di elettricità stabile e permette di ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Ne avevamo già parlato in un altro post dei problemi che ha l'Enel con l'ambiente          - clicca qui - 
Ma fortunatamente l'energia rinnovabile è destinata a superare le fonti di energia fossili lasciandoci finalmente il nucleare alle spalle. Ma quanti errori sono già successi e che ci porteremo avanti per molti lunghi anni. Colpa anche da scelte politiche e sopratutto da chi fornisce l'energia al Paese e che preserva i loro interessi economici.

lunedì 14 ottobre 2013

IN GERMANIA LA CRESCITA DELLE RINNOVABILI STA METTENDO IN DIFFICOLTÀ LE CENTRALI A CARBONE

Spesso si ripete che la Germania è tornata a investire nelle centrali a carbone per compensare la sua uscita dal nucleare entro il 2022.

Questo non è esattamente vero, perchè le 8 centrali a carbone attualmente in costruzione  sono state programmate tra il 2006 e il 2010, quindi prima dell’incidente di Fukushima. Altre 6 centrali in progetto sono state sospese e ben 20 sono state definitivamente cancellate.
Queste centrali, più due già entrate in servizio,  potrebbero fornire una potenza totale di 11,5 GW e sarebbero quindi grosso modo in grado di sostituire l’attauale produzione nucleare, anche se con un incremento di 70 Mt di emissioni di CO2 (l’8% delle emissioni tedesche).
Non avranno tuttavia  vita facile, perchè la concorrenza delle energie rinnovabili sta iniziando a creare seri problemi alle centrali a carbone. La produzione rinnovabile ha fatto crollare i prezzi dell’energia elettrica, e nei pomeriggi festivi questi scendono a zero, oppure diventano addirittura negativi. Ciò significa che in questi periodi le grandi compagnie sono disposte a pagare i cittadini perchè venga consumata energia elettrica, pur di evitare di scalare verso il basso l’attività delle grandi centrali a carbone che hanno un elevato carico di base e sono poco flessibili.
Si inizia a parlare di chiudere le miniere di lignite (carbone con elevato tasso di emissioni) ed anche alcune vecchie centrali. Sarebbe forse meglio fermare la costruzione delle nuove centrali prima che sia troppo tardi.
Si tratta di investimenti sbagliati  che rispondono a logiche vecchie di reti centralizzate e poco flessibili, l’esatto contrario delle smart grids che riescono a gestire meglio il traffico fluttuante dell’energia rinnovabile. Ogni euro investito nel carbone è un euro rubato alle fonti rinnovabili, allo sviluppo di sistemi di accumulo e alle reti intelligenti. E i primi a comprenderlo dovrebbero essere proprio quelli che gestiscono il business del carbone.
Insomma una notizia positiva dalla Germania..e l'Italia? Cosa aspetta?

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